Come gestire gli NPL con una Reoco

Come gestire gli NPL con una Reoco 1

Le Disposizioni emanate da Banca D’Italia il 16 marzo sono state per noi una piacevole conferma. 

Quando 10 anni fa abbiamo iniziato la nostra attività abbiamo proposto un modello di business allora inusuale con una società veicolo di cartolarizzazione (SPV) per acquistare crediti secured affiancata da una società immobiliare attiva a tutti gli effetti. Fino ad allora (salvo poche eccezioni) la maggior parte dei player del mercato aveva un modello sbilanciato su uno dei due lati: o società immobiliari che compravano crediti ipotecari in modalità spot, o società finanziarie con una Reoco costituita ad hoc e amministrata nei ritagli di tempo.

 

Con queste Disposizioni, si istituzionalizza un modello e lo si consiglia caldamente agli originator. Ci avevamo visto giusto dunque?

 

Sicuramente sì, lato buyer. Lato originator/banca è tutto da vedere. Stare dalla parte dell’acquirente ha dei vantaggi: ci si può focalizzare su alcune asset class, fare cherry picking, o quando non è possibile scegliere siamo comunque focalizzati a implementare la struttura rispetto alla mole di lavoro e alla tipologia dei crediti. 

La differenza sta nel core business: gestire asset e crediti è il nostro core business, non quello della banca. Non ancora, almeno.

 

Per aderire alle Disposizioni di Banca D’Italia e cogliere l’opportunità derivante dalle concessioni e deroghe previste, gli Istituti di Credito dovranno strutturarsi adeguatamente o delegare l’attività a soggetti esperti. In caso contrario sarà un boomerang.

 

Dopo 10 anni di attività ci siamo accorti che sono 3 i punti di focalizzazione più importanti per la gestione dei crediti ipotecari tramite Reoco, sui quali ci concentriamo quotidianamente:

 

– approccio differente per asset class: valorizzare una villa e valorizzare un complesso industriale non sono la stessa cosa. In alcuni casi anche all’interno di una stessa asset class vanno adottati approcci diversi (es. appartamento/villa, o albergo/rta). All’interno della struttura il modello di business si differenzia sia in fase di business plan e progettazione (software) che nella fase successiva dell’applicazione e gestione territoriale (hardware);

 

– struttura dedicata: chi gestisce gli immobili non può al contempo occuparsi dei crediti, e viceversa. Si tratta di un’organizzazione flessibile, osmotica, ma ben delineata nei compiti e nelle responsabilità di ciascuno. Prendere un asset manager che si è sempre occupato di legale e stragiudiziale e fargli fare il piano marketing per la vendita di un immobile è la soluzione più semplice ma non la più efficace;

 

– pianificazione del cashflow e della fiscalità: di fatto si tratta di due rami d’azienda distinti che si intrecciano continuamente, ognuno con la propria liquidità e con le proprie regole fiscali. Occorre dunque fare un piano business articolato, che preveda tutte le variabili e tutte le way out. 

Due esempi su tutti: la pianificazione della partecipazione in asta e del prezzo limite; il calcolo delle spese di gestione dell’immobile e delle spese, con attenzione al pro-rata e all’impatto fiscale.

Emanuele Grassi

 

Gli NPL a Milano

 

Gli NPL a Milano 2

Quando si parla di NPL ipotecari si tende erroneamente a fare di tutta l’erba un fascio. Non solo con riferimento alle diverse tipologie di asset ipotecati (leggi anche “Very special servicing”, approfondiremo l’argomento nei prossimi post), anche e soprattutto con riferimento alla location di detti immobili.

Chi si approccia a questo mercato ragionando sulle cosiddette “special situation” ovvero ragionando su singole operazioni piuttosto che su grossi perimetri va inevitabilmente a cercare le pepite. Fatti 100 NPL 50 sono garantiti da immobili in provincia, 40 nell’hinterland, 10 in centro a Milano: tutti (o quasi) si buttano a pesce su questi ultimi.

Il risultato è una “sineddoche professionale”, ovvero gli attori saranno portati a lungo andare a identificare il mercato NPL con gli immobili residenziali di Milano centro. Che rappresentano, a titolo di esempio, tutti gli immobili siti in location liquide e appetibili.

E quindi? Che ne è del restante 90%?

I dati aggiornati (fonte BKIT) ci riferiscono che il 75% delle sofferenze lorde sono in capo alle aziende, e di queste il 75% sono garantite da immobili non residenziali.

In parole semplici e sintetizzando molto, possiamo azzardare a dire che il 60% circa degli NPL sono garantiti da capannoni e centri commerciali. È evidente che il problema è molto lontano dal centro di Milano.

Il restante 90% dei crediti ipotecari NPL seguirà con ogni probabilità una di queste strade:

– verrà inserito in una cartolarizzazione multimiliardaria e verrà recuperato in via giudiziale al 30/40% (media) del nominale;

– verrà riscattato dal proprietario o dall’occupante dell’immobile;

– verrà acquisito o transato da società virtuose che cercano le pepite in posti inesplorati;

– sarà oggetto di riqualificazione o conversione da parte di chi fa la gestione del credito, al fine di valorizzarlo e venderlo a prezzo maggiore e più velocemente.

Il futuro della gestione NPL passa obbligatoriamente dalle ultime due strade. La prima è senz’altro quella più battuta, la più semplice ma evidentemente la più dolorosa.

La seconda è quella più auspicabile, anche se segnali di una ritrovata capacità reddituale dell’italiano medio all’orizzonte ancora non si vedono.

Emanuele Grassi

 

 

NPL: un mercato di limoni?

NPL: un mercato di limoni? 3
Il titolo dell’articolo riprende e cita un intervento del recente NPL Meeting di Venezia, nel quale si accostava il mercato degli NPL alla teoria economica del mercato dei limoni.

Quest’ultima risulterà familiare a chi ha fatto studi accademici attinenti: per tutti gli altri (me compreso, prima di informarmi a dovere incuriosito dalla citazione) tale teoria fa capo a George Akerlof e compare per la prima volta in un suo articolo del 1970. In sintesi viene spiegato come in presenza di asimmetria informativa tra venditore e acquirente in un mercato, avvengono sostanzialmente due fasi:

– in una prima fase, il venditore sarà invogliato a mettere sul banco roba di scarsa qualità approfittando della scarsa cultura dell’acquirente;

– al contempo, il venditore sarà disincentivato a togliere dal mercato limoni di grande qualità, sapendo che il mercato non sarà disposto a pagare un sovrapprezzo per le medesime ragioni del punto 1;

– in una seconda fase, l’acquirente realizza che la qualità di quel mercato è un dato incerto, che i limoni buoni non stanno sul banco e a lungo andare smette di comprare, ponendo fine al mercato.

Ovviamente la teoria è più articolata, mi sono permesso di stilizzarla molto. L’autore fa altri esempi (auto usate, cibi di alta cucina), non cita gli NPL.

Trattasi senza dubbio di un parallelo molto acuto e degno di nota da parte del conferenziere; a nostro avviso non ci sono però i presupposti perché questo avvenga nel mercato degli NPL, per almeno tre ragioni:

1) Gli NPL sono un mercato che vive una fase di eccesso di liquidità; per alcune asset class, stiamo rasentando la bolla. Oggi gli acquirenti sono troppo motivati a impegnare denari per accorgersi della qualità intrinseca degli asset; il problema si riproporrà se mai più avanti;

2) l’asimmetria informativa è sostanzialmente dovuta alla base dati originariamente presente nelle banche. La differenza sostanziale con la teoria dei limoni sta proprio qui: in presenza di dati scarsi o assenti, l’acquirente NPL non offre un prezzo medio; offre meno per tutelarsi. Mediamente gli acquirenti degli NPL non hanno lo stessa tolleranza delle massaie al mercato;

3) la qualità dei dati presenti sul mercato è in netto miglioramento, per via del deciso cambio di rotta delle banche in tal senso e anche grazie al lavoro dei servicer coinvolti nei processi di acquisto e valutazione.

In molti casi venditore e acquirente sono già in grado di distinguere tra limoni buoni e cattivi; parlando di ipotecario, mi viene da dire che finora si è parlato quasi solo di limoni buoni.

Emanuele Grassi

 

 

 

Gli Npl non sono la causa. Per almeno 3 motivi

Gli Npl non sono la causa. Per almeno 3 motivi 4Lo scenario macro del nostro mercato va assestandosi con il perfezionamento (o quantomeno la decisione in merito) delle due grandi operazioni pending.

MPS ha avuto il benestare da Bruxelles per il piano di ristrutturazione, che prevede la cessione ad Atlante di 26mld di crediti deteriorati.

Le due Venete cedono la banca “buona” a Intesa Sanpaolo a prezzo simbolico, e lo Stato anticipa il necessario per evitare il default scommettendo sul recupero dei crediti da parte di SGA.

Pensandoci bene sono due modi diversi di dire la stessa cosa; pensandoci ancora meglio, di fatto una vera e propria cessione di crediti non c’è stata. Non è come quando si va al mercato a comprare la frutta: lì si paga il fruttivendolo e si viene a casa con la frutta. In questo caso è rimasto tutto al fruttivendolo, anche se ha battuto lo scontrino.

Guardando al recente storico delle transazioni,  i numeri sono certamente significativi; in molti casi però possiamo parlare di cessioni solo in senso tecnico…

Si nota in generale frenesia nel voler vendere/cartolarizzare il più possibile e il prima possibile, vuoi per i dettami BCE, vuoi anche per la convinzione (ormai diffusa e popolare) che gli NPL siano la zavorra delle banche e dell’economia.

Siamo proprio certi che sia così?

Noi sospettiamo che sia il contrario. E che rappresentino un effetto e non una causa di quanto sta accadendo. Per almeno 3 motivi:

1. Saranno pure non-performing, ma sono uno dei pochi asset rimasti alle banche

Se intendiamo per “asset” un qualsiasi bene che produce reddito, i veri asset delle banche oggi sono tre: le persone, la rete e la presenza territoriale, i crediti. In questa fase di declino (inarrestabile?) del core-business è difficile pensare che la cosa migliore per una banca sia liberarsi di tutti i propri asset. Peraltro in un momento di transizione dove buona parte del personale è impiegata in attività poco redditizie, a volte rese superflue dalla tecnologia.

2. La correlazione molti npl/pochi mutui non trova riscontro alla prova dei fatti

Dai dati in nostro possesso risulta che le banche sarebbero ben felici di erogare a soggetti “meritevoli”. Il punto è che i “non meritevoli” oggi non li finanzia più nessuno (per non ricadere negli errori del passato) e sono la maggioranza; gli altri se li contendono abbattendo i tassi con una marginalità insostenibile.

3. Anche ipotizzando di avere zero npl, non c’è certezza di una correlata crescita economica

Ci viene da pensare che l’azzeramento degli NPL possa avere come impatto l’esatto contrario: citando ad esempio il mercato immobiliare, la cessione massiva degli NPL condurrebbe nel medio periodo a un’impennata dell’offerta e a una logica correzione dei prezzi di vendita.

Tirando le somme, non ci sembra affatto che gli NPL siano i mali, e la loro epurazione la panacea. Il ruolo dei servicer/fondi che investono in NPL e il Loro impatto sull’economia reale è sopravvalutato. Dire questo non porta certamente acqua al nostro mulino, ma tant’è.

Siamo convinti che cessioni mirate e on demand abbiano un effetto migliore nei confronti dell’azienda banca. In questo modo il servicer risponde a un reale bisogno del committente, definito nelle dimensioni e nel tempo, come per una normale fornitura di servizi.

Per avere effetti benefici sull’economia reale occorre che la politica e i grossi centri di liquidità concentrino i Loro sforzi altrove.

Emanuele Grassi

NPL best practice/le 3 trappole della quantificazione del credito

NPL best practice/le 3 trappole della quantificazione del credito 5

C’è una differenza sostanziale tra un credito e un credito ipotecario, e non dipende solo dalla presenza di una garanzia.

Quando parliamo di credito ipotecario, parliamo di un credito che a tutti gli effetti detiene un grado di privilegio all’interno di una procedura, sia essa esecutiva o concorsuale.

Ciò che non è chiaro a tutti, alcuni addetti ai lavori compresi, è che un credito originato da un mutuo ipotecario non necessariamente è un credito ipotecario.

O meglio, lo sarà esclusivamente per la quota capitale, interessi e accessori come stabilito dalla legge (a sommi capi come descritto nell’art. 2855 c.c.).

La quantificazione di un credito per la sua quota ipotecaria presenta alcune insidie, che abbiamo provato a delineare in tre punti salienti:

1.Differenza tra valore lordo di un credito e credito ipotecario

Come già anticipato, non necessariamente i due valori coincidono. L’operatore è facilmente tratto in inganno, in quanto le parti cedenti tendono a esibire in prima istanza il valore lordo (cosiddetto GBV, “Gross Book Value”).

Inoltre, vista anche la complessità del calcolo e la carenza di documenti, la maggioranza dei servicer non calcolano il valore ipotecario e si fanno manlevare contrattualmente su tutte le caratteristiche del credito, fatta eccezione per la sua sola esistenza.

Ulteriore complicazione: l’articolo di legge di riferimento è interpretato in modo diverso dai vari Tribunali. Esistono diverse interpretazioni ad esempio circa il periodo di calcolo rispetto agli interessi convenzionali e viene dibattuta la questione circa l’attribuzione degli interessi moratori al chirografo oppure al privilegio. A volte, come nel caso di Milano, vengono internamente dettate le linee guida da seguire; l’operatore specializzato deve conoscerle.

2. Differenza tra privilegio ipotecario nelle procedure esecutive e concorsuali

L’ipoteca è certamente da considerarsi un privilegio; tuttavia essa assume una valenza diversa a seconda del tipo di procedura in cui è inserita.

In questo caso non si tratta della quantificazione di un credito, ma della sua corretta collocazione (e previsione) nel piano di riparto.

Nelle procedure esecutive è più semplice delineare i gradi di privilegio e gli eventuali crediti da porre innanzi all’ipotecario; nelle concorsuali è più complesso, sia per il maggior numero di classi di privilegio presenti, sia per la complessità dei calcoli e delle previsioni di incasso.

3.Differenza tra credito ipotecario e credito ipotecario fondiario

Il fatto che un credito ipotecario sia o meno fondiario ha un incidenza importante nel recupero dello stesso. Anche qui non si tratta di una diversa quantificazione del credito, bensì di un privilegio maggiore (in alcuni casi) e di una maggiore facilità del recupero e nei tempi di incasso del credito.

Senza addentrarci negli aspetti tecnici, (per chi fosse interessato segnaliamo la sentenza della Corte di Cassazione Civile, Sez. III, 12 settembre 2014, n. 19282), colpisce il fatto che i due strumenti possano prestarsi ai medesimi scopi con risultati in termini di azioni di recupero profondamente diversi.
Alcune differenze a titolo esemplificativo: il fondiario può portare a termine una procedura esecutiva anche in caso di fallimento dell’esecutato; il fondiario incassa i proventi di un’esecuzione con anticipo rispetto al riparto finale.

La materia è complessa e meriterebbe un approfondimento; l’operatore NPL è facilitato dal fatto di trovarsi davanti una situazione già delineata, ovvero scoprirà a giochi fatti se il credito è fondiario o ipotecario e si comporterà di conseguenza.

Emanuele Grassi

 

La (strana) corsa alle aste immobiliari: 3 motivi per dubitare

La (strana) corsa alle aste immobiliari: 3 motivi per dubitare 6Gli addetti ai lavori avranno certamente notato negli ultimi 12 mesi un aumento dell’affluenza alle aste immobiliari. Si sta probabilmente realizzando la visione dei più lungimiranti del settore, che da qualche anno lavorano per portare alle aste i privati cittadini e per provare a equiparare le vendite giudiziarie alle vendite su libero mercato.

Sembrano lontani i tempi in cui la vendita alle aste era considerata un affare per pochi, e si dava per scontata l’esistenza di loschi affari dietro questo ambiente. In questo senso, il risultato ottenuto è certamente molto positivo.

I recenti adeguamenti normativi (cfr. d.l. 83/2015 e d.l. 59/2016) hanno fatto il resto, accelerando i tempi del processo e proponendo prezzi più appetibili per gli asset.

Ma è davvero tutto in discesa? È possibile che questo sia un trend positivo di lungo periodo?

Noi abbiamo qualche dubbio. Secondo noi la corsa alle aste immobiliari è “strana”, per almeno tre motivi:

1.Il numero di asset venduti è pressoché invariato:

chi pensa che la maggiore affluenza alle aste sarà la panacea di tutti i mali, si sbaglia. Se è vero che più persone determinano prezzi più alti e (forse) maggiore velocità nella vendita, ci fa riflettere il fatto che a fronte del 25% di incremento delle buste depositate, si ha avuto un incremento del 5% degli asset venduti rispetto al totale delle vendite. Ovvero molti cani alla ricerca dello stesso osso, che non significa molti ossi venduti …

2. I prezzi di vendita in alcuni casi superano i valori del libero mercato:

qualche settimana fa un agente immobiliare ci ha detto: “Ora come ora, ha più senso vendere un immobile all’asta che metterlo nella mia vetrina”.

La “moda” delle aste e il meccanismo irrazionale che le contraddistingue (effetto casinò) porta il prezzo di vendita di alcuni asset a superare il prezzo di vendita a libero mercato. Questa cosa non può avere una logica né può essere considerata un trend: la vendita all’asta comporta rischi e compromessi che fisiologicamente devono scontare un prezzo rispetto alla vendita libera. Prima o poi questo effetto finirà, è certo.

3. Non abbiamo evidenza di segnali di ripresa dell’economia:

il mercato immobiliare segue da sempre e con proporzionalità diretta l’economia del Paese. Tràina ed è trainato. Negli ultimi 12 mesi non ci sono stati segnali né evidenze di dati tali da far prevedere un aumento del prezzo degli immobili. I salari sono rimasti invariati e la capacità di indebitamento pro-capite è diminuita. In questo scenario un aumento dei prezzi va considerato solamente come episodico e connesso alla nicchia di mercato.

Per questi e per altri motivi collegati riteniamo che questo trend vada interpretato come ricollocazione della liquidità e non come un trend duraturo. La nostra valutazione degli asset continuerà a basarsi su assumptions più durature e prevedibili.

A prescindere da questo è comunque innegabile che la crescente attenzione verso il mercato degli NPLs ha portato maggiore liquidità in questo microcosmo; in questo modo si rischia però di creare una situazione paradossale nella quale metà del mercato è florida e l’altra metà è in crisi!

Non facciamoci abbagliare, altrimenti i nostri NPLs torneranno ad essere NPLs!

 

Emanuele Grassi

Il mercato dei crediti ipotecari

Il mercato dei crediti ipotecari 7

A livello massivo, il mercato dei crediti ipotecari in Italia stenta a decollare.

Per i motivi più svariati (vedi anche l’articolo “Crediti in sofferenza: il parere dei diretti interessati/1”) domanda e offerta non si incontrano. C’è chi ipotizza che questo sia dovuto alla volontà degli istituti di non svalutare troppo i propri asset; alcuni mettono l’attenzione sul fatto che i crediti immobiliari sono stati poco accantonati nei bilanci e ora a maggior ragione si fa fatica ad accantonare per via della diminuzione degli utili; c’è anche chi pensa che i grossi fondi/società acquirenti offrano oggettivamente troppo poco. È molto probabile che ci sia una parte di verità in tutte queste teorie.

Nonostante ciò, stanno proliferando i servicer che trattano questi crediti.

Forse si preparano alla cessione massiva che verrà, forse diversificano. Fatto sta che un gran numero di servicer per crediti chirografari si sono “buttati” nell’ipotecario, pensando di applicare lo stesso modello di business.

Lo stesso discorso vale per un nutrito gruppo di avvocati, società di valutazione immobiliare, periti, fondi immobiliari e affini, tutti a cercare la Loro fetta di torta.

Succede talvolta di imbattersi in alcuni di questi professionisti/società che vengono da altri ambiti, e di capirlo al volo. Vuoi perché il Loro modello di business è diverso, vuoi perché vengono da altri ambiti e hanno altri punti di vista, vuoi perché non hanno esperienza. Il credito ipotecario è un’attività fortemente poliedrica, non improvvisabile.

Lungi dall’estendere il giudizio alle intere categorie, abbiamo elencato una serie di caratteristiche must have per un servicer ipotecario:

– capacità di individuare correttamente il credito: quando parliamo di “credito ipotecario”, parliamo di qualcosa di significativamente diverso dal “credito”. Il privilegio ipotecario, calato nelle procedure esecutive e/o concorsuali, ha tutta una serie di regole di calcolo e stima. Cosa incredibile, ogni tribunale in barba al codice adotta dei criteri diversi di calcolo.

– capacità di quantificare le spese dei terzi: è relativamente facile quantificare internamente le spese da sostenere, molto più difficile prevedere i costi esterni. In una procedura concorsuale ad esempio possono impattare pesantemente sull’esito del deal. Le exit strategy vanno impostate anche in funzione di questo: una buona programmazione delle spese e delle prededuzioni determina un’analisi numerica più puntuale . Anche qui ogni tribunale ha i suoi usi e costumi, da conoscere.

– agganci/network territoriale: con un processo di analisi e lavoro evoluto, la verifica territoriale ha la funzione della conferma. In alcuni casi rimane imprescindibile, gli immobili in Italia sono come gli italiani, pieni di particolarità e varietà anche quando si trovano molto vicini.

– approccio corretto al real estate: un credito ipotecario che rimane obbligatoriamente un credito rischia di diventare un’opportunità persa; la grossa parte della valorizzazione avviene quando si interviene sull’immobile oggetto di garanzia. Questo implica un totale cambio d’abito, le logiche dell’immobiliare sono decisamente differenti e devono convivere con quelle finanziarie. Non è sufficiente costituire una Reoco, occorre che la Reoco sia una vera e propria azienda a sé stante.

 

Emanuele Grassi

 

 

 

 

 

NPL Best Practice: La Valutazione

NPL Best Practice: La Valutazione 8Come si valuta un immobile pignorato? E dunque, come si valuta un credito ipotecario?

È una questione delicata e complessa. Nel nostro Paese prezzare un immobile su libero mercato è già di per sé difficile e materia di contenzioso tra commerciali, tecnici, proprietari, periti estimatori. Manca totalmente uniformità di giudizio.

Figuriamoci se aggiungiamo a tutto questo il fatto che un immobile sia pignorato o potenzialmente pignorabile, quindi soggetto a una serie di possibili complicazioni. Ne citiamo alcune: stato occupativo ignoto, incertezza sui tempi di liberazione, incertezza circa le condizioni dell’immobile, incertezza su tempi e costi delle procedure, incertezza sui tempi di incasso.

Amalgamando il tutto, il risultato sarà un’accozzaglia di pareri discordanti tra tutte le parti in gioco; ne consegue una distanza che è probabilmente una delle cause madre del famigerato “bid-ask gap”, almeno per quanto concerne il credito ipotecario.

Dove sta il giusto metro valutativo quindi? Molto semplice: il prezzo lo fa sempre il mercato.

Ogni investimento va valutato sempre per il reddito che produce. Per un immobile si tratta dell’affitto; per un credito ipotecario l’analisi è più complessa, tiene conto di tutti i fattori citati sopra, ma alla fine si tratta sempre di ricondurre tutto alla capacità dell’asset di generare profitto a lungo termine.

Così, la capacità degli attori di questo mercato è quella di sommare tutte le variabili presenti nel mercato immobiliare di riferimento (anche la più banale offerta al ribasso, per esempio) con le variabili e le incertezze tipiche del recupero crediti e delle procedure giudiziali, e al contempo valutare singolarmente queste variabili per comprendere quali di esse hanno un vero impatto sull’asset preso in considerazione.

A parità di immobile, il fatto che su di esso gravi una procedura esecutiva o un concordato cambia completamente gli scenari di recupero. Idem per esempio se un immobile è occupato o meno, e a che titolo, determina un’appetibilità completamente diversa del bene sul mercato. La destinazione d’uso del bene allo stato di fatto e il possibile cambio hanno un forte impatto sul target di clientela. Questa lista può continuare per molte righe.

I periti CTU e (purtroppo) molti colleghi differenziano la valutazione a libero mercato (OMV) con la valutazione dell’immobile pignorato/da pignorare (JMV) semplicemente con % forfettarie di decurtazione. Questo può avere un senso in un’ottica di deprezzamento per eccesso, molto meno se si desidera una quotazione puntuale. La valutazione GMA, in corso di certificazione e secretata da un software dedicato, tiene conto di tutte le variabili “judicial” che incidono e che potranno incidere sul prezzo singolarmente; ciò mette il Cliente e anche noi nelle condizioni di avere una forte realtà sull’operazione e calibrare la strategia di recupero in modo personalizzato per singolo asset.

 Emanuele Grassi

 

NPL: alla radice del problema

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Quando si parla dell’Italia e la si confronta con gli altri Paesi del mondo emerge sempre in qualche modo l’inadeguatezza del nostro Paese dal punto di vista economico, politico e legislativo.

Alzi la mano chi non ha mai confrontato i fatti italiani con quelli di altri Paesi (vedi Germania o Inghilterra), descrivendo questi ultimi come virtuosi e capaci e gettando di fatto fango sullo specchio di fronte.Il settore a cui facciamo riferimento non fa eccezione. Tutte le banche d’Europa e del mondo Occidentale fanno i conti con le sofferenze già arrivate e in arrivo, con i margini di intermediazione che crollano e i tassi a zero, eppure sono sempre gli italiani che ne escono peggio, come immagine intendo. Ecco uno dei tanti esempi di percezione mediatica negativa.

Il punto è che spesso, dati alla mano, ci si azzecca. L’Italia è veramente il fanalino di coda. Non si capisce se l’autolesionismo degli italiani sia la causa o l’effetto di tutto questo, l’uovo e la gallina che si perpetuano.

A questo punto nasce spontanea una domanda:

Perché?

Dall’Italia vengono le migliori opere d’arte, invenzioni, imprese da sempre. Tutto il mondo ce lo riconosce. Com’è possibile che il Paese con il più alto tasso al mondo di iniziativa imprenditoriale abbia un problema di inerzia? Com’è possibile che il Paese con la maggior quota di risparmio pro capite oggi abbia problemi di liquidità?

La risposta forse è scritta nel passato, nelle radici e nella storia della nostra Italia.

La scorsa settimana ho avuto il piacere di assistere a una conferenza davvero interessante, nella quale uno stimato professore universitario ricordava citando fatti storici l’importanza della criminalità organizzata, della Chiesa e degli Stati Uniti nella creazione dell’Italia così come oggi la conosciamo. È evidente che nel bene e nel male questi tre “fattori” sono tuttora estremamente rilevanti nella vita politica del paese: la criminalità a livello sociale, la Chiesa per la morale e gli Stati Uniti (e le multinazionali) nell’economia, con vari intrecci e con il fattore comune della politica.

Non è mia intenzione fare un trattato storico, menchemeno politico. L’obiettivo è quello di notare come in Italia abbiano convissuto da sempre forze molto importanti in (quasi) perfetto equilibrio. Ciò ha generato una condizione di staticità ben radicata che ci portiamo dentro come endemica, a prescindere dal coinvolgimento dei fattori citati in precedenza. Da qui nascono omertà, invettive sterili, ricerca del sotterfugio.

Le decisioni importanti in Italia sono sempre state prese per compromessi. È la storia che ce lo dice. La riunificazione stessa dell’Italia è figlia di compromessi. Non è nel nostro patrimonio genetico il cambiamento radicale, la decisione tranchant, il ribaltone. La difesa dello status quo è nell’essenza stessa dell’Italia.

Tucidide diceva che bisogna studiare il passato per capire il presente e orientare il futuro. Qui viene il bello. Se questo è il passato, se queste sono le nostre radici, se siamo geneticamente contrari ai ribaltoni e abbiamo la necessità di un ribaltone, abbiamo un problema. Ecco perché molti paesi sono già passati attraverso il tunnel e ora guardano oltre. È una questione di prospettiva: la posizione è la stessa, l’attitudine è diversa.

È questa la grande sfida che aspetta l’Italia, pena la soccombenza. Riscoprirsi, prendere atto dei propri difetti, e portarli alla luce. Gli NPL sono gli effetti visibili e tangibili degli errori del passato; per andare oltre servirà fare un passo indietro, trovare le cause nascoste e sradicarle, in nome del cambiamento.

Forse dar fondo alle nostre risorse per salvare le banche non va in questa direzione.

Emanuele Grassi

 

NPLs: rischio bolla in tempi di crisi

NPLs: rischio bolla in tempi di crisi 9

Se provaste a entrare in un bar e raccontare che il vero problema di questi tempi è come impiegare il denaro per farlo rendere nella migliore delle ipotesi vi prenderebbero per pazzi.
“Ma come? Salari ai minimi, disoccupazione galoppante, de-stagflazione! E voi ci venite a raccontare che ci sono troppi soldi in giro?”

Esatto.

Enormi quantità di soldi fermi o in lento movimento, figlie del Quantitative Easing, accentrate in attesa che la vera economia produca veri utili. Utili che possano giustificare un investimento.

I non-performing loans rappresentano l’emblema di questa anomalia: in assenza di investimenti “ciclici”, i grossi player sono in coda per acquisirne grandi quantità, ma allo stato le banche non sono in grado di cedere ai prezzi richiesti: il castello rischierebbe di crollare.

La nostra attività riprende dopo le vacanze estive e il tema principale del nostro mercato rimane la distanza tra domanda e offerta: oggi siamo intorno al 15% . Troppo rischioso offrire cifre superiori, impossibile per le banche vendere a cifre inferiori stock di crediti così importanti per via degli accantonamenti e delle regole di bilancio.

La cosa paradossale è che questo mercato sta vivendo a modo suo una bolla, dettata dall’esigenza di comprare, di investire. Ne è un esempio il massiccio afflusso alle aste immobiliari di questi mesi, favorito anche dalle recenti misure governative. Anche i crediti chirografari consumer sono oggi acquisiti a un prezzo folle, dettato dall’esigenza di riempire portafogli di investimento e dalla scarsità dell’offerta. La scarsità è ovviamente relativa, in rapporto alla mole di denaro e alla richiesta del mercato.

Si rischia così di gonfiare i prezzi fino a cifre insostenibili per il libero mercato e ingiustificate dall’andamento dell’economia reale. L’esubero di liquidità creato dalle banche centrali diventa dunque funzionale a un ciclo chiuso di investimenti e speculazione e non crea beneficio.

In questo modo si rimettono in circolo asset a prezzi non sostenibili con il rischio di creare una spirale negativa. Senza il sostegno di un economia florida e crescente un NPL comprato male non verrà recuperato e un asset comprato male tornerà presto ad essere un NPL.

I prossimi mesi, che saranno densi di avvenimenti e di scadenze, ci diranno se la forbice tra domanda e offerta si restringerà e chi tra venditori e acquirenti ne sarà il principale artefice.

Emanuele Grassi