NPL: alla radice del problema

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Quando si parla dell’Italia e la si confronta con gli altri Paesi del mondo emerge sempre in qualche modo l’inadeguatezza del nostro Paese dal punto di vista economico, politico e legislativo.

Alzi la mano chi non ha mai confrontato i fatti italiani con quelli di altri Paesi (vedi Germania o Inghilterra), descrivendo questi ultimi come virtuosi e capaci e gettando di fatto fango sullo specchio di fronte.Il settore a cui facciamo riferimento non fa eccezione. Tutte le banche d’Europa e del mondo Occidentale fanno i conti con le sofferenze già arrivate e in arrivo, con i margini di intermediazione che crollano e i tassi a zero, eppure sono sempre gli italiani che ne escono peggio, come immagine intendo. Ecco uno dei tanti esempi di percezione mediatica negativa.

Il punto è che spesso, dati alla mano, ci si azzecca. L’Italia è veramente il fanalino di coda. Non si capisce se l’autolesionismo degli italiani sia la causa o l’effetto di tutto questo, l’uovo e la gallina che si perpetuano.

A questo punto nasce spontanea una domanda:

Perché?

Dall’Italia vengono le migliori opere d’arte, invenzioni, imprese da sempre. Tutto il mondo ce lo riconosce. Com’è possibile che il Paese con il più alto tasso al mondo di iniziativa imprenditoriale abbia un problema di inerzia? Com’è possibile che il Paese con la maggior quota di risparmio pro capite oggi abbia problemi di liquidità?

La risposta forse è scritta nel passato, nelle radici e nella storia della nostra Italia.

La scorsa settimana ho avuto il piacere di assistere a una conferenza davvero interessante, nella quale uno stimato professore universitario ricordava citando fatti storici l’importanza della criminalità organizzata, della Chiesa e degli Stati Uniti nella creazione dell’Italia così come oggi la conosciamo. È evidente che nel bene e nel male questi tre “fattori” sono tuttora estremamente rilevanti nella vita politica del paese: la criminalità a livello sociale, la Chiesa per la morale e gli Stati Uniti (e le multinazionali) nell’economia, con vari intrecci e con il fattore comune della politica.

Non è mia intenzione fare un trattato storico, menchemeno politico. L’obiettivo è quello di notare come in Italia abbiano convissuto da sempre forze molto importanti in (quasi) perfetto equilibrio. Ciò ha generato una condizione di staticità ben radicata che ci portiamo dentro come endemica, a prescindere dal coinvolgimento dei fattori citati in precedenza. Da qui nascono omertà, invettive sterili, ricerca del sotterfugio.

Le decisioni importanti in Italia sono sempre state prese per compromessi. È la storia che ce lo dice. La riunificazione stessa dell’Italia è figlia di compromessi. Non è nel nostro patrimonio genetico il cambiamento radicale, la decisione tranchant, il ribaltone. La difesa dello status quo è nell’essenza stessa dell’Italia.

Tucidide diceva che bisogna studiare il passato per capire il presente e orientare il futuro. Qui viene il bello. Se questo è il passato, se queste sono le nostre radici, se siamo geneticamente contrari ai ribaltoni e abbiamo la necessità di un ribaltone, abbiamo un problema. Ecco perché molti paesi sono già passati attraverso il tunnel e ora guardano oltre. È una questione di prospettiva: la posizione è la stessa, l’attitudine è diversa.

È questa la grande sfida che aspetta l’Italia, pena la soccombenza. Riscoprirsi, prendere atto dei propri difetti, e portarli alla luce. Gli NPL sono gli effetti visibili e tangibili degli errori del passato; per andare oltre servirà fare un passo indietro, trovare le cause nascoste e sradicarle, in nome del cambiamento.

Forse dar fondo alle nostre risorse per salvare le banche non va in questa direzione.

Emanuele Grassi

 

NPLs: rischio bolla in tempi di crisi

NPLs: rischio bolla in tempi di crisi 1

Se provaste a entrare in un bar e raccontare che il vero problema di questi tempi è come impiegare il denaro per farlo rendere nella migliore delle ipotesi vi prenderebbero per pazzi.
“Ma come? Salari ai minimi, disoccupazione galoppante, de-stagflazione! E voi ci venite a raccontare che ci sono troppi soldi in giro?”

Esatto.

Enormi quantità di soldi fermi o in lento movimento, figlie del Quantitative Easing, accentrate in attesa che la vera economia produca veri utili. Utili che possano giustificare un investimento.

I non-performing loans rappresentano l’emblema di questa anomalia: in assenza di investimenti “ciclici”, i grossi player sono in coda per acquisirne grandi quantità, ma allo stato le banche non sono in grado di cedere ai prezzi richiesti: il castello rischierebbe di crollare.

La nostra attività riprende dopo le vacanze estive e il tema principale del nostro mercato rimane la distanza tra domanda e offerta: oggi siamo intorno al 15% . Troppo rischioso offrire cifre superiori, impossibile per le banche vendere a cifre inferiori stock di crediti così importanti per via degli accantonamenti e delle regole di bilancio.

La cosa paradossale è che questo mercato sta vivendo a modo suo una bolla, dettata dall’esigenza di comprare, di investire. Ne è un esempio il massiccio afflusso alle aste immobiliari di questi mesi, favorito anche dalle recenti misure governative. Anche i crediti chirografari consumer sono oggi acquisiti a un prezzo folle, dettato dall’esigenza di riempire portafogli di investimento e dalla scarsità dell’offerta. La scarsità è ovviamente relativa, in rapporto alla mole di denaro e alla richiesta del mercato.

Si rischia così di gonfiare i prezzi fino a cifre insostenibili per il libero mercato e ingiustificate dall’andamento dell’economia reale. L’esubero di liquidità creato dalle banche centrali diventa dunque funzionale a un ciclo chiuso di investimenti e speculazione e non crea beneficio.

In questo modo si rimettono in circolo asset a prezzi non sostenibili con il rischio di creare una spirale negativa. Senza il sostegno di un economia florida e crescente un NPL comprato male non verrà recuperato e un asset comprato male tornerà presto ad essere un NPL.

I prossimi mesi, che saranno densi di avvenimenti e di scadenze, ci diranno se la forbice tra domanda e offerta si restringerà e chi tra venditori e acquirenti ne sarà il principale artefice.

Emanuele Grassi

 

RExit – Case all’americana 2

È curioso come l’uscita della Gran Bretagna dall’UE caschi a fagiolo con il seguito del nostro post.
Mentre discutevamo di quanto la cultura anglosassone stia egemonizzando quella Latina in ambito economico/finanziario e per effetto domino in altri ambiti sociali, quasi a voler confermare l’assunto, la Gran Bretagna esprime con forza la sua sovranità e la sua identità nazionale in un referendum storico.

Tralasciando di analizzare i probabili effetti di questa decisione (troppe variabili, potremmo dire tutto e il contrario), continuiamo a parlare di crediti e immobili con un’ulteriore conferma del fatto che le nostre radici culturali e sociologiche permeano e influenzano ogni ambito di scelta, economia e politica comprese.

Per questo motivo, a meno che non si coltivino idee reazionarie, è importante comprendere che l’inglese è entrato nel nostro linguaggio e con esso nel nostro modo di intendere e vivere la realtà. Nel caso specifico del Real Estate (…), l’operatore professionale comprende che le dinamiche che guideranno questo mercato nei prossimi anni saranno profondamente diverse dalle precedenti. Con dei vantaggi.

A titolo esemplificativo e non esaustivo, prendiamo ad esempio il mutuo prima casa. L’Italia è il paese al mondo con la più alta % di prime case intestate a privati, molti dei quali si impegnano per 20 anni e più a pagare una rata importante e ingombrante pur di raggiungere lo scopo. Ebbene, fare un mutuo per comprare la prima casa è un grosso errore dal punto di vista finanziario.
So bene che agli italiani questa cosa non piace sentirla. Quando l’ho raccontato a mia madre, Lei mi ha risposto: “Non sono d’accordo, ma è giusto”.

Molte persone acquistano la prima casa facendo sforzi economici immani nella convinzione che l’immobile si rivaluti sempre nel tempo; proviamo a raccontarlo a chi ha comprato casa nel 2007, e ora vorrebbe venderla.
Altri sono convinti che abbia più senso comprare perché alla fine del mutuo (e della vita lavorativa) si ritrovano con qualcosa in mano. Riparliamone dopo che avremo fatto i conti su quanto realmente è costata la casa (interessi compresi, e nella speranza di non avere troppe spese straordinarie), che ora peraltro è una casa da ristrutturare.

Nell’impostazione anglosassone parlando di possedimenti si ragiona per attivi (“asset”); semplificando molto, attivo è tutto ciò che ti mette soldi in tasca e passivo è tutto ciò che te ne toglie. Secondo questa concezione, la prima casa è un passivo e la prima voce di spesa è il mutuo.
La distinzione tra possesso e utilizzo di un bene non è così naturale per un italiano. Per far digerire il concetto di leasing, è servito un grosso incentivo fiscale. Ora le cose stanno cambiando: la consapevolezza di questo meccanismo sta piano piano iniziando a farsi strada nel noleggio di beni di lusso/sportivi, nei beni strumentali a finalità produttiva, nel concetto stesso di sharing economy. Comprendere (e accettare) che chi utilizza un bene e chi lo possiede è meglio che non siano la stessa entità ci porterà a un minor rischio finanziario pro-capite e a una maggiore duttilità e flessibilità nelle nostre vite, così come espressamente richiesto dal mondo in cui viviamo.

Non sono d’accordo con chi sostiene che tutto ciò porterà a una standardizzazione e omogeneizzazione tout court. Penso invece che questo porterà alla luce la differenza tra i fronzoli e il valore aggiunto: gli immobili che producono reddito e che si distinguono per efficienza e/o architettura saranno valorizzati dal mercato come e più di prima.

Emanuele Grassi

I NPL e la vera economia

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Il tema NPL rimane di forte attualità sui media. Ogni giorno i maggiori quotidiani e tg nazionali trattano il tema, direttamente e indirettamente. Di questi giorni la novità della creazione del Fondo Atlante e la pubblicazione dei più recenti dati inerenti la quantità e la tipologia dei crediti in sofferenza.

A volte, forse totalmente controcorrente rispetto agli attori di questo mercato, ci sembra che non si stia centrando il problema e che si stiano adottando soluzioni palliative, o certamente non radicali.

Alcune riflessioni:

– fa specie che nessuno (!) ponga l’accento sul fatto che una grande massa di crediti insoluti è figlia essenzialmente di un’economia decrescente o peggio insostenibile, e che non si intravede alcun segno tangibile all’orizzonte di un deciso miglioramento di questa economia e dei grossi problemi della nostra generazione (disoccupazione giovanile, insostenibilità dell’impianto pensionistico per citarne due). Questo significa con grande probabilità che una volta sistemati questi crediti deteriorati in un medio lasso di tempo, ce ne troveremo davanti almeno altrettanti da sistemare. Punto e a capo, in breve.

– il >70% delle sofferenze italiane fanno riferimento al 3% dei soggetti coinvolti; il >80% delle sofferenze italiane fa riferimento a crediti erogati ad aziende. Se il problema NPL è un problema di quantità, perché non partire da qui? Allo stato sono in atto interventi generalisti (ovvero sul 97% dei soggetti coinvolti) e non sono state adottate misure particolari per il credito PMI, per il quale l’iniziativa è lasciata ad azioni individuali.

– tutto ciò premesso, non ha senso pensare che il mercato NPL soprattutto come attualmente impostato possa essere causa della nostra economia. Era e resta soprattutto un effetto. La vera causa dell’economia è l’economia reale, gli stipendi, i consumi, i beni di prima necessità.

Non sta scritto da nessuna parte che una volta svuotati i magazzini di NPL gli Istituti di credito inizieranno a erogare nuova finanza a soggetti indebitati che percepiscono redditi precari. Noi operatori di questo mercato (molti di noi, almeno) facciamo bene il nostro lavoro e inseriamo la nostra professionalità in un contesto che oggettivamente ne aveva bisogno; questo comunque non significa neanche lontanamente che siamo l’ago della bilancia dell’economia, come distortamente comunicano i media.

L’ago della bilancia è l’economia vera, è di questa che la politica dovrebbe occuparsi.

Emanuele Grassi

NPL: buoni propositi

NPL: buoni propositi 2

È abbastanza semplice fare una disamina dei problemi; la parte difficile è trovare le soluzioni, e renderle pratiche.

Normalmente nasce un problema quando all’interno della stessa dinamica operano due o più forze contrastanti. Nel caso dei crediti non-performing, si tratta nella maggior parte dei casi della necessità di risultati al passo con il mercato attuale (globale, veloce, in evoluzione continua) in contrasto con le risorse scarse messe a disposizione per il recupero. Un fatto di economia, principalmente.

Trattandosi di istituti di credito e società molto capitalizzate, è facile intuire come queste risorse ci siano e che quindi non vengano impiegate volutamente. In ballo entrano altre questioni come l’impiego delle risorse umane (che tocca a volte anche aspetti sociologici) e l’aspetto strategico; alla fine, si tratta comunque per gli originator di un’attività non-core.

E quindi? Va da sé che quando le risorse scarseggiano, chi vuole eccellere aguzza l’ingegno. Se la recessione economica ci ha insegnato qualcosa, è proprio questo.

Ecco dunque alcune soluzioni d’ingegno applicate alle tematiche recentemente trattate, non tutte farina del nostro sacco:

1) Sostituiamo la funzione “incaglio” (nel vecchio senso della parola) con una funzione ibrida che abbini attività di drive-by attinenti alla qualità del credito come controllo redditi e verifiche anche a campione dei cespiti ipotecati con attività di marketing e cross-selling, facilitate anche dalla migliore conoscenza delle situazioni, come vendita di prodotti assicurativi ed erogazione di nuovo credito a soggetti meritevoli magari anche a scopo di miglioria ed efficientamento per i beni oggetto di garanzia;

2) Promuoviamo una riforma chiara e definitiva del diritto fallimentare, con tempi e costi certi per chi promuove e semplificazione degli approcci stragiudiziali;

3) Normalizziamo le partnership industriali tra soggetti originator e imprenditori interessati a investire nella conversione di immobili/aree di grandi dimensioni e destinate a scopi vetusti e non valorizzabili;

4) Rendiamo la trattazione dei crediti NPL una disciplina a tutti gli effetti, per la quale prevedere un’istruzione specifica e per la quale i soggetti ausiliari saranno sempre soggetti competenti e specializzati, attenti alla tutela del debitore quanto alle peculiarità del creditore;

Mi verrebbe da obiettare se fossi il lettore che è molto più facile a dirsi che a farsi. Trattasi pur sempre di una disamina teorica, sia pure basata su casi pratici e testimonianze dirette. Il nostro auspicio che per primi “seguiremo” è che venga preso come un indirizzo, una spinta a migliorare, un infinito a cui tendere con forza anche senza necessariamente raggiungere.

Emanuele Grassi

Crediti in sofferenza: il parere dei diretti interessati/2

finance

Diamo seguito al nostro post pubblicato di recente elencando gli altri 3 punti cruciali per i quali, secondo alcuni esponenti di banche e uffici legali, risulta difficile gestire il credito non performing:

4) durata delle procedure concorsuali: lunghissima, o incerta nella migliore delle ipotesi. Quasi impossibile per investitori esterni calcolarne la durata con esattezza, troppe le variabili. Va da sé che i prezzi proposti saranno esigui, per mettere in conto la peggiore delle ipotesi; difficile anche pensare che tali crediti possano essere ipersvalutati per via di agenti esterni non controllabili. Domanda e offerta hanno entrambe ragione, e così il mercato si ferma.

5) liquidità ferma sui c/c delle procedure: parliamo di miliardi (!!) di Euro fermi su qualche c/c o libretto di risparmio in attesa di essere ripartiti, magari per mesi o addirittura anni. Non vi è la possibilità di pagamenti diretti ai creditori se non in caso di mutuo fondiario e tipicamente nelle procedure esecutive (ex art. 41 TUB), nessuna regola o tempi certi per la distribuzione. In caso di vendite in più lotti o incassi differiti, spesso si attende l’ultimo incasso per distribuire arrecando un notevole danno al creditore.

6) difficoltà tipicamente italiana di valutare l’asset impresa: in Italia, i crediti NPL corporate rappresentano l’82% del totale in termini di volumi. 4 euro su 5, in pratica. Il paradosso sta nel fatto che questa tipologia di crediti è la più ostica da recuperare, la più difficile da prezzare (vedi punto 4) e la più complessa da valorizzare, considerata la forte incidenza delle PMI in termini di posizioni (anche se non di volumi; di questo parleremo un’altra volta…). Come si fa a prezzare un credito corporate di un artigiano edile, o di un’impresa artigiana con due operai? Oggi vale 100, domani può valere 0…

Va detto che le opinioni raccolte non sono state una semplice disamina di problemi; in molti hanno proposto delle soluzioni a ognuno dei punti elencati. Alcune delle soluzioni proposte tengono poco in considerazione il mercato NPL e dimostrano una volta di più quanto la distanza tra alcuni uffici/creditori e gli accadimenti dell’economia di strada sia ampia e difficile da colmare; è giusto comunque dire che una buona parte di esse sono intelligenti e non vengono applicate per via di budget limitati o della scarsa autonomia gestionale dei dipartimenti, per i quali ogni modifica richiede infiniti percorsi burocratici.

Nel corso della prossima pubblicazione condivideremo quelle secondo noi più valide e aggiungeremo un poco di farina del nostro sacco laddove riteniamo di poter dare un contributo.

Emanuele Grassi

Crediti in sofferenza: il parere dei diretti interessati/1

finance

La nostra attività ci mette spesso nella condizione di capire e osservare l’economia da un punto di vista privilegiato.

È come se lavorassimo in una sorta di anticamera della realtà, nella quale è possibile verificare quante persone e aziende stanno avendo difficoltà economiche importanti. In quali settori, in quali zone lavorano, in quali zone abitano.

Nel corso della quotidianità nascono spesso dei momenti di confronto con i player del settore, e soprattutto con coloro che si occupano di gestire i crediti non-performing per conto delle banche e delle SGC. I primi riescono a verificare velocemente come cambiano le dinamiche dell’economia, stando all’interno di un Istituto che contiene normali sportelli e uffici legali; i secondi normalmente sono più orientati alla profittabilità dei NPL e hanno il polso sull’andamento del mercato, le recenti operazioni di cessione, la liquidità presente nel mercato, i prezzi di scambio.

E così spesso, davanti a un caffè o negoziando crediti, si ha l’opportunità di chiedere dei crediti in sofferenza ai diretti interessati.

Recentemente sono emersi almeno 6 punti di difficoltà importanti e condivisi che oggi rallentano o impediscono la gestione serena di un credito da esigere, e ne determinano un prezzo ancora molto basso:

1) Anomalie di drive by e nessun controllo circa la qualità del credito in itinere: la più macroscopica delle anomalie è che non c’è nessuna cultura di gestione corretta di un credito prima che questo credito si deteriori. Prevenire è meglio che curare, e qui non si fa alcuna prevenzione. Nessun controllo circa la qualità del mantenimento di un asset immobiliare; l’unica tutela riguarda gravi danni, ma nella maggior parte dei casi è il cattivo utilizzo e mantenimento a danneggiare un bene. Nessuna verifica preventiva anche sul reddito dei privati, ci si accorge del problema se salta qualche rata o nei rari casi in cui il debitore è lungimirante e si presenta in banca per negoziare;

2) Scarsità di soluzioni a carattere stragiudiziale e poco tutelanti per chi le propone; tutte le soluzioni di intervento attualmente possibili, in particolare modo riferite alle procedure concorsuali (concordato in continuità, ristrutturazione debiti, concordato con assuntore) secondo gli attori principali del mercato sono troppo onerose e richiedono tempi lunghi. Si segnala in particolare modo la dispersione delle risorse, per esempio l’accettazione di piani concordatari “alla cieca” o la facilità dei curatori nel fare cause e citazioni a spese delle procedure;

3) Necessità di adoperare conversioni soprattutto su stabili industriali: gli uffici legali e contenzioso delle banche lamentano il fatto di non avere risorse da impiegare per intervenire in modo attivo sugli asset difficili da collocare. Un esempio su tutti: vecchi fabbricati industriali e artigianali presenti nelle aree urbane delle città, per i quali i comuni sarebbero disposti anche a concedere edificabilità senza pagare oneri pur di sbarazzarsene, e per i quali non ci sono i budget necessari alla demolizione/riqualificazione né per presentare nuovi progetti;

….continua….

Emanuele Grassi

L’importanza delle parole: non-performing e sofferenze

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Ogni lingua è l’espressione della storia e della cultura dei territori in cui viene parlata. Attraverso le parole creiamo il nostro mondo, lo rappresentiamo per come esso ci appare e comunichiamo agli altri la nostra percezione di realtà.

È normale dunque che nelle pieghe di una lingua parlata siano contenuti significati molto più profondi di quelli letterali e possiamo scorgere tendenze significative rispetto ai modi di vivere e pensare di interi popoli e culture.

Per fare un esempio, la traduzione del concetto di “lavoro” nei vari idiomi dice molto dell’atteggiamento storico della popolazione nei confronti di esso. Ciò che per l’italiano rappresenta il lavoro (labor, ossia “fatica”) per il tedesco è un beruf (“chiamata”), per il britannico è un job (“gobba”) o work (stessa etimologia di “tortura”); per i francesi addirittura un travail (“travaglio”).

Le diverse regioni italiane mantengono traccia nei loro dialetti della definizione che più è stata ritenuta calzante dalla popolazione, ed è rimasta a dispetto dell’uniformazione della lingua italiana.

Lo stesso esempio può essere ripreso per analogia con ogni concetto significativo. Oggi proviamo a capire come nel nostro ambito di competenza il progressivo avanzare della lingua inglese porta con sé nuovi significanti e progressivamente nuove percezioni degli stessi soggetti. Abbiamo individuato tre parole significative:

– pignoramento: l’equivalente del pignoramento nella disciplina civilistica inglese è il foreclosure, che può essere tradotto letteralmente come “chiusura immediata”. In effetti in presenza di foreclosure negli Stati Uniti il processo di repossess del creditore e dello sgombero di un immobile è brevissimo, per permettere il ricollocamento immediato dell’asset. “Pignoramento” contiene la radice etimologica della parola “pegno”, a testimonianza di quanto valore sia da sempre stato dato nel nostro Paese alla garanzia ipotecaria e all’immobile quale garanzia e bene di valore per eccellenza.

– sofferenze: vengono chiamati così in italiano quei crediti di dubbia riscossione con i debitori in stato di insolvenza. La parola caratterizza perfettamente l’atteggiamento nostrano del debitore nei confronti del debito insoluto. In inglese tali posizioni vengono invece definite non performing loans; il punto di vista qui è quello del creditore, i cui crediti non producono introiti e i cui asset vengono definiti distressed.

– fallimento: in questo caso trattasi di una parola che ha una traduzione simile (failure, to fail) e che viene applicata in modo diverso. In italiano implica una situazione fortemente negativa, una disfatta (dal dizionario, “clamoroso insuccesso”), in inglese ha una carica emozionale più lieve ed è più assimilabile a “errore”, “caduta”, “insuccesso”, lasciando in qualche modo intendere che si tratta di qualcosa che può accadere e che fa parte del gioco.

Definire la stessa cosa con due etichette differenti cambia completamente il tipo di energia e di atteggiamento verso di essa. Da differenti pensieri si producono differenti azioni, e quindi differenti risultati. Nel caso di specie, rispetto alla definizione autocommiserativa e statica di “sofferenze” risulta estremamente più funzionale la definizione di NPL; parimenti il nostro lavoro diventa più efficace se iniziamo a sceglierlo e interpretarlo come un beruf, una chiamata, una missione.

Emanuele Grassi

Il modello dell’esagono: un anno dopo/2

Il modello dell'esagono newCome ben descritto nella prima parte del post registriamo un andamento irregolare del mercato immobiliare: la particolarità rispetto al precedente ciclo è il cambiamento radicale delle condizioni sociali ed economiche dei lavoratori dipendenti.
Essi rimangono ben propensi a comprare immobili anche indebitandosi, tuttavia le nuove forme contrattuali d’assunzione non sono ancora state recepite dal mercato del credito, e difficilmente lo saranno.

Ecco allora delinearsi un nuovo scenario nel mercato ordinario delle compravendite immobiliari, più vicino al modello anglosassone.

Ipotizziamo 3 grandi cambiamenti nel mercato immobiliare del prossimo futuro:

– assestamento del numero delle transazioni:
le compravendite raggiungeranno un numero fisiologico in linea con il nostro PIL e si assesteranno per qualche tempo non essendo trainate da nuove erogazioni di mutui;

– minor numero di privati proprietari di case e diminuzione della qualità media degli immobili:
avremo meno persone che potranno permettersi una casa di proprietà, e si abbasserà di conseguenza la qualità media che i proprietari di casa mettono nelle Loro abitazioni. L’artigianato locale e la manodopera di qualità sono tratti caratteristici del nostro Paese, e dovremo avere cura di difenderli;

– nascita di forme diverse di abitazione, basate sulla condivisione delle spese e degli spazi (co-housing, social housing, co-working, edifici a impatto zero);

Riteniamo dunque che anche l’approccio al mercato immobiliare vada modificato in funzione di valorizzare i nostri crediti non-performing. Per ogni cambiamento, proponiamo un nuovo approccio:

– valutiamo gli immobili secondo il loro rendimento netto:
l’immobile probabilmente perderà il suo status di traino e indotto per l’economia, e diventerà sempre più asset da reddito; in questo senso è bene fare attenzione sin d’ora a tutti quegli asset che possono scontare una forte correzione sul prezzo, dovuta appunto al fatto che non è commisurato al rendimento (si prendano come esempio le ville della Versilia o di molti appartamenti della Costa Smeralda)

– consideriamo la qualità degli immobili come un valore aggiunto:
… anche se non direttamente proporzionale al prezzo. Un immobile con finiture di pregio e arredamenti di qualità sarà più difficile da trovare, e potrà essere una variabile determinante per la vendita o messa a reddito;

– iniziamo a valutare le nuove forme di abitazione e di approvvigionamento dei clienti:
anche se al momento co-housing e simili possono sembrare opzioni azzardate rappresentano il futuro delle iniziative immobiliari; presto la sharing economy e il crowdfunding saranno applicati anche al mercato immobiliare e potranno anche essere se opportunamente regolamentate soluzioni intelligenti al problema del credito.

Auguri sinceri di Buon Natale e buone feste da tutto il nostro staff.

Emanuele Grassi

 

Il modello dell’esagono: un anno dopo/1

Il modello dell'esagono new

A più di un anno dalla nostra prima pubblicazione del “modello dell’esagono” e a 9 mesi dalla nostra più recente pubblicazione sull’argomento i nostri lettori più attenti ci hanno chiesto se questa previsione si è verificata nei fatti.

Superata la fase 6, i dati rilevati ci dicono che siamo entrati nella fase 1; è dunque legittimo attendersi nel breve periodo un mercato immobiliare in fase 2, ossia il momento più florido del mercato con prezzi e compravendite in netta ascesa.

Il nostro parere? Assolutamente no.

La fase attuale potrebbe durare parecchi anni. Entreremo nella fase 2 quando sarà relativamente facile per una famiglia di medio-basso reddito ottenere un finanziamento pari almeno al prezzo di compravendita della casa, sole spese accessorie escluse.

Il punto è che il cambiamento nel mercato del lavoro è stato talmente profondo da rendere necessaria una riforma totale del processo di erogazione del credito privato.

Per capirci: se un requisito base è un contratto (o magari due) di assunzione a tempo indeterminato, l’86% delle coppie molto difficilmente potrà avere credito (Istat); e forse non gli interessa neppure, considerato che gli attuali 18enni italiani secondo le più recenti previsioni cambieranno lavoro mediamente 5 volte e si trasferiranno in un altro stato almeno una volta.

Questi cambiamenti disegneranno inevitabilmente un mercato immobiliare completamente nuovo rispetto a quello attuale e del recente passato; avremo una domanda molto diversa, le cui richieste in alcuni casi risulteranno diametralmente opposte a quelle abituali del cliente medio italiano.

Nella seconda parte di questo post condivideremo il nostro scenario e la nostra idea di approccio a questo nuovo mercato.

Emanuele Grassi