
Sembrano lontani i tempi in cui la vendita alle aste era considerata un affare per pochi, e si dava per scontata l’esistenza di loschi affari dietro questo ambiente. In questo senso, il risultato ottenuto è certamente molto positivo.
I recenti adeguamenti normativi (cfr. d.l. 83/2015 e d.l. 59/2016) hanno fatto il resto, accelerando i tempi del processo e proponendo prezzi più appetibili per gli asset.
Ma è davvero tutto in discesa? È possibile che questo sia un trend positivo di lungo periodo?
Noi abbiamo qualche dubbio. Secondo noi la corsa alle aste immobiliari è “strana”, per almeno tre motivi:
1.Il numero di asset venduti è pressoché invariato:
chi pensa che la maggiore affluenza alle aste sarà la panacea di tutti i mali, si sbaglia. Se è vero che più persone determinano prezzi più alti e (forse) maggiore velocità nella vendita, ci fa riflettere il fatto che a fronte del 25% di incremento delle buste depositate, si ha avuto un incremento del 5% degli asset venduti rispetto al totale delle vendite. Ovvero molti cani alla ricerca dello stesso osso, che non significa molti ossi venduti …
2. I prezzi di vendita in alcuni casi superano i valori del libero mercato:
qualche settimana fa un agente immobiliare ci ha detto: “Ora come ora, ha più senso vendere un immobile all’asta che metterlo nella mia vetrina”.
La “moda” delle aste e il meccanismo irrazionale che le contraddistingue (effetto casinò) porta il prezzo di vendita di alcuni asset a superare il prezzo di vendita a libero mercato. Questa cosa non può avere una logica né può essere considerata un trend: la vendita all’asta comporta rischi e compromessi che fisiologicamente devono scontare un prezzo rispetto alla vendita libera. Prima o poi questo effetto finirà, è certo.
3. Non abbiamo evidenza di segnali di ripresa dell’economia:
il mercato immobiliare segue da sempre e con proporzionalità diretta l’economia del Paese. Tràina ed è trainato. Negli ultimi 12 mesi non ci sono stati segnali né evidenze di dati tali da far prevedere un aumento del prezzo degli immobili. I salari sono rimasti invariati e la capacità di indebitamento pro-capite è diminuita. In questo scenario un aumento dei prezzi va considerato solamente come episodico e connesso alla nicchia di mercato.
Per questi e per altri motivi collegati riteniamo che questo trend vada interpretato come ricollocazione della liquidità e non come un trend duraturo. La nostra valutazione degli asset continuerà a basarsi su assumptions più durature e prevedibili.
A prescindere da questo è comunque innegabile che la crescente attenzione verso il mercato degli NPLs ha portato maggiore liquidità in questo microcosmo; in questo modo si rischia però di creare una situazione paradossale nella quale metà del mercato è florida e l’altra metà è in crisi!
Non facciamoci abbagliare, altrimenti i nostri NPLs torneranno ad essere NPLs!
Emanuele Grassi






lavoro nelle aste.
Quoto in pieno l’articolo.